Articolo sul self hosting in preparazione

Ho iniziato a scrivere un articolo sul self hosting, cioè sulla capacità di far da sé in Internet. Sarà una guida molto pratica, per cui dedico questo post al lato più filosofico della questione.

Buona parte della società moderna si basa sul modello “creo un prodotto/servizio > la gente adotta il prodotto/servizio > la gente si rende conto che la gestione del prodotto/servizio richiede un impegno > creo un servizio di gestione del prodotto/servizio”. Nell’economia classica tutto questo si basava su scambi di denaro, ma nel mondo digitale spesso vengono proposti come gratuiti dei servizi che paghiamo cedendo parte della nostra libertà o del nostro anonimato.

I social network analizzano i nostri post e le nostre fotografie. Molti servizi di posta gratuita analizzano i nostri messaggi. Tutti questi dati vengono poi condivisi con altre aziende per venderci nuove novità.

Il principio è quindi duplice: da un lato preservare libertà e anonimato, dall’altro fare leva sul valore dei nostri dati. Se un’azienda paga un social network per avere accesso alla mia anagrafica, non è giusto che il social network non mi riconosca nulla per questi dati, se non il discutibile “privilegio” di essere iscritto e avere accesso alla “piattaforma”.

Per riappropriarci di questi diritti e valori, l’unico modo è prendere le distanze dai servizi in cloud e tornare a quello che in gergo viene definito on premise, cioè “sul posto”. Nelle aziende è ancora molto diffusa l’usanza di tenere “in casa” uno o più server per i propri servizi digitali. Per i privati la spinta al cloud, unita alla miniaturizzazione delle apparecchiature elettroniche (“faccio tutto con lo smartphone“) è molto più forte.

Per fortuna tutti gli strumenti necessari al self hosting sono disponibili anche per i privati, e l’articolo che sto scrivendo tratterà proprio di questo.


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